Se scrivete ... rispondo!

Questa rubrica vuole essere un aiuto per il dialogo tra parrocchiani e parroco. Grazie a quanti vorranno scrivere e porre domande o fare osservazioni con spirito costruttivo.

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Sono un papà che accompagna la figlia alla catechesi del sabato. L’ultima volta ha spiegato che si deve pregare con le mani giunte. Sul perché bisogna farlo vorrei dicesse qualcosa di più. Grazie per la risposta. (L.G.) 

Caro L.G. lasciamo perdere il verbo “bisogna”, fa pensare ad un obbligo, a qualcosa di imposto. Occorre capire: se uno tiene le mani dietro la schiena o nelle tasche non sappiamo che intenzioni ha. Potrebbe avere un bastone o una pistola. Se uno ti viene incontro con le mani giunte tu sai che è disarmato. Nella preghiera le mani giunte esprimono questo sentimento: “Signore io mi metto davanti a te disarmato, senza difese, perché mi fido di te e sono pronto ad accoglierti senza paura”. Le mani giunte sono consigliate nei momenti di preghiera particolarmente intensi come durante la Messa. Ad esempio quello della consacrazione o della comunione. Il significato delle mani giunte diventa più forte quando ci si mette in ginocchio. Infatti, chi fa così dimezzando la sua statura esprime la volontà di riconoscersi piccolo e quindi di non voler combattere e lottare. Nella preghiera mettersi in ginocchio significa: “Signore io sono piccolo tu sei grande e puoi aiutarmi”.

Un altro gesto molto bello e significativo nel pregare è alzare le mani verso l’alto come quello del bambino che vuol farsi prendere in braccio o nel gesto del “mani in alto!”. Si riconosce la grandezza del Signore dichiarando di essere pronti a fare quello che lui ci chiede oppure di avere bisogno della sua forza e del suo calore. Le mani ci danno un aiuto nel pregare anche quando le mettiamo rivolte verso l’alto come quelle del povero che chiede l’elemosina. Ci ricordano che abbiamo un urgente bisogno dell’aiuto del Signore.

Insomma: pregando con tutto quello che siamo, corpo e spirito, corriamo meno il rischio di non pensare a quello che stiamo facendo o dicendo. Provi! Prima preghi, caro L.G., steso sulla sedia magari “stravaccato”, poi con le mani atteggiate nel gesto che esprime meglio i suoi sentimenti del momento. Provi a riscrivermi e a dirmi se ha capito o no la differenza. Un caro saluto, p. Nicola.

Buonasera p. Nicola,
in questo mese di novembre  mia nonna mi ha chiesto  di far celebrare delle Messe per i defunti della nostra famiglia. Io sono stato dal parroco per farla contenta e ho prenotato queste Messe dando anche gli euro che lei mi aveva dato per la Parrocchia.  Riconosco però che non so molto sui motivi di questa usanza; anche a catechismo, qualche anno fa, il catechista mi aveva  dato una spiegazione  ma non è che ricordo molto. Mi può spiegare che cosa sono queste  messe di suffragio?  Grazie, P. Z.

Caro P. Z.,  già nell’Antico Testamento si parla della preghiera per i defunti perché "siano assolti dai loro peccati"; questo a proposito di soldati morti in battaglia tra le cui vesti erano stai trovati oggetti rubati. Questo passo (dal secondo libro dei Maccabei 12,45) è uno dei pochi  riferimenti dell’Antico Testamento. La Chiesa però fin dagli inizi ha sempre favorito la preghiera in suffragio dei defunti come espressione di un legame d’affetto nella fede che ci lega a quanti sono morti. Sant’Agostino nelle Confessioni, la sua autobiografia, riferisce questo episodio:  sua madre, Santa Monica, prima di morire , gli aveva raccomandato: "Seppellite pure questo mio corpo dove volete, senza darvi pena. Di una una sola cosa vi prego: ricordatevi di me, dovunque siate, dinanzi all’altare del Signore" (Confessioni 9,11, 27). Era il 27 agosto 387, quindi nel primo periodo dell’era cristiana.

Leggi tutto: Perché far celebrare le Messe per i defunti?

Lei insiste molto sull’impegno della Messa domenicale, che è un precetto della Chiesa da osservare;  con le tante situazioni che vive una  famiglia oggi,  mia moglie ed io ci chiediamo, anche per un insegnamento ai nostri figli:  il precetto festivo è sempre d’obbligo e chi non lo osserva può fare la comunione oppure no?  L.S.

Caro L. S. grazie per la domanda che spesso mi sento rivolgere. La messa domenicale è un “precetto generale” della Chiesa; esso ha radici antichissime che risalgono ai tempi apostolici. Non è un peso ulteriore sulle spalle dei fedeli ma risponde ad un’esigenza interna della vita ecclesiale: la Chiesa è popolo di Dio; ora un popolo in cui non vi siano o siano venuti del tutto meno dei legami reciproci e dei segni di appartenenza  non è più un popolo: è una massa anonima e disarticolata. C’è un motivo ancora più attuale per il singolo credente: vivere la propria fede  in una società come la nostra in cui credere è andare decisamente contro la corrente culturale dominante e diffusa capillarmente in tutti i mezzi della comunicazione sociale. Tutto porterebbe a lasciar morire di inedia in modo pacifico  ed inavvertito la fede stessa. Come è possibile continuare a credere sul serio se si abbandona perfino questo residuo incontro settimanale con la parola di Dio, con il Corpo e Sangue di Cristo, con una  qualche partecipazione attiva alla vita della Chiesa? Questo è Il senso del precetto: la disobbedienza gravemente colpevole (il peccato) è soprattutto di chi volutamente e con un certo disprezzo trascura in modo sistematico -  o quasi -  di vivere il precetto stesso. In chi invece perde la Messa domenicale in modo occasionale o per una causa ragionevole, non si verifica una  colpa grave di cui necessariamente occorre accusarsi in confessione prima di fare la comunione. In conclusione: la gravità della  colpa è data, prima che dalla trasgressione materiale del precetto, dal minimizzare o trascurare lo scopo del precetto, della Chiesa e dei valori che essa annuncia; penso che questo tempo quaresimale sia più che opportuno per riesaminare anche questo aspetto della nostra vita di credenti.

Saluti, p. Nicola

Buonasera p. Gregorio. Come altri cattolici ho seguito con interesse quanto è stato detto riguardo l’esortazione  apostolica Amoris laetitia. Riporto però a lei la delusione di un mio amico divorziato e risposato il quale era certo che il Papa avrebbe detto una  parola definitiva riguardo la comunione ai divorziati e risposati civilmente. Ma non è stato così; non c’è alcuna affermazione che vada in tal senso. Il mio amico è rimasto assai deluso e, devo dire, anche io. Perché non c’è stata tale affermazione definitiva e sperabilmente in direzione di un’apertura? R. Z.

Caro R. Z. penso che non siano utili né  le polemiche in stile “talk show” né le discussioni che devono finire come una partita fra vincitori e vinti. Quello che è vincente e, direi, produttivo, è anzitutto inserire ogni discussione in modo non superficiale  nel contesto della vita familiare, del vincolo coniugale e della Chiesa stessa, nel loro non facile impegno di vivere la fedeltà a Cristo e le scelte che ne conseguono in tempi assai complessi come quelli di oggi. Nell’esortazione c’è un capitolo molto bello e profondo  che ha il titolo: “Accompagnare, discernere e integrare la fragilità”. Li’ viene detto che le regole  generali non si applicano automaticamente ad ogni situazione particolare. E’ necessario tener conto della specificità di ogni situazione. Tale atteggiamento richiede da parte dei Vescovi e dei parroci in particolare una rinnovata empatia e discernimento verso le persone che si trovano in queste situazioni. Ma tale empatia e discernimento non possono essere separati dalle esigenze di verità e carità del Vangelo e della tradizione della Chiesa. Penso che ci sia spazio muovendosi in tali ambiti di trovare futuri, seri, percorsi  e soluzioni, sempre però accompagnate da  spiegazioni chiare e preparando le comunità di appartenenza di queste persone.

Saluti, p. Nicola

Sono una mamma di un bambino del catechismo e accompagno ogni sabato mio figlio in parrocchia. Quando posso volentieri partecipo alle riunioni o ad altre  iniziative proposte dalla  Parrocchia a noi genitori; mio marito fa più difficoltà a farlo, non capisce tanto perché oltre  a  nostro figlio dobbiamo anche noi venire a catechismo. Mi può dare qualche indicazione? Grazie R. M.

Cara R. M. è vero: più di un genitore ritiene che la catechesi o “catechismo” come si dice popolarmente impegni solo i figli e non i genitori in prima persona; inoltre  più di un genitore pensa che frequentando si ritrovi  in situazioni imbarazzanti perché da anni non si sente in accordo con quello che riguarda la fede cristiana  o la sua pratica. 

Non c’è da far polemiche  ma si tratta  di incoraggiare  a fare quanto è possibile per accompagnare i figli, così come viene fatto in altre attività. A un padre o ad una madre fa piacere vederli crescere in salute, correre in un campo di calcio, far parte di gruppo sportivo; se partecipano di più alla vita dei loro figli anche per la catechesi si sorprenderanno di vedere come  i loro figli sono interessati a conoscere la fede,  la Bibbia, la vita della Chiesa o dei santi.  Le stesse catechiste mi  raccontano di come sono colpite  favorevolmente  da certe affermazioni di fede semplici  e profonde dei ragazzi  o dal loro modo di pregare;  ne traggono un bene per loro stesse. Questo può succedere ai genitori, tanto più se si prolunga tale esperienza in famiglia. 

Un altro motivo per i genitori di porre attenzione alla loro presenza nel percorso catechistico dei figli è che così possono avere l’occasione di scoprire o riscoprire le ragioni per credere. Forse la fede è rimasta quella di quando erano bambini  mentre ora deve essere quella di un adulto.  Una fede che è anche comunitaria, capire ciò  è un’altra cosa positiva della frequenza; la fede non è un fatto individualistico ma comunitario,  perciò è importante incontrare altri genitori, adulti o giovani della comunità parrocchiale. Inoltre partecipando agli incontri periodici per loro, i genitori avranno modo di avere contenuti e informazioni utili per rispondere alle domande dei loro figli.

 Insomma partecipare alla vita catechistica dei ragazzi fa bene ai genitori e anche…ai nonni! 

Saluti, p. Nicola