di Lucetta Scaraffia, storica, giornalista
Possiamo ben capire come il mondo occidentale, quello di antica matrice cristiana, oggi si senta sconvolto e ferito. Ferito anche in quelli che ritiene siano i suoi valori, in particolare quello dell’accoglienza ai bisognosi e ai perseguitati, difeso da molti negli ultimi affannosi mesi davanti alla massa crescente di immigrati che stanno arrivando in Europa in fuga dalla guerra e dal terrorismo islamico. È chiaro che gli attentati di Parigi giocano a favore di chi invece è contrario all’accoglienza, di chi vede in ogni immigrato un potenziale terrorista. Ma, se si guarda bene, i terroristi che agiscono in Francia non sono — almeno finora — immigrati da poco giunti in Europa, ma figli o addirittura nipoti di immigrati arrivati molti decenni fa, nati e cresciuti qui, quindi cittadini a tutti gli effetti. Ma si tratta di cittadini che non hanno assimilato il sistema di valori trasmesso loro dalla scuola, il valore della laicità e dell’uguaglianza, e in particolare della libertà individuale assicurata a tutti.
Molti commentatori stanno dicendo in queste ore che la colpa è di una integrazione fallita, soprattutto professionale e sociale. E se in questo c’è molto di vero, ci si può però chiedere quale integrazione economica sia possibile oggi, quando sono disoccupati anche i ragazzi francesi, e la crisi della scuola rende sempre più difficile — se non impossibile — l’ascesa sociale per le classi subalterne. Non è dunque solo un problema dei figli degli immigrati, ma questi lo vivono diversamente, insieme a qualche ragazzo europeo che li raggiunge sul fronte dell’odio.
A questo proposito risulta molto più convincente l’analisi di Farhad Khosrokhavar, sociologo iraniano che studia da anni l’immigrazione islamica in Europa, in un saggio pubblicato nel numero dello scorso giugno della rivista «Études». Lo studioso individua la crisi che porta i giovani alla rottura con le società occidentali non tanto nel rifiuto dei valori che queste offrono loro, ma piuttosto nel vuoto di regole morali che li accoglie nel nuovo mondo. Nell’imbarazzo con il quale nell’occidente di oggi viene accettato il loro modo di proporsi, che sottolinea l’accentuata differenza tra i sessi, mentre il modello vincente è quello della sua cancellazione. In una società in cui tutto sembra lecito e possibile al singolo, in cui i rapporti fra i sessi sono privi di norme, in cui viene evitata ogni risposta relativa alla morte e alla vita dopo di essa, ai giovani rimane possibile sperare solo in un buon guadagno che permetta un livello crescente di consumi. Via debole, che tra l’altro oggi è loro preclusa. Il sociologo iraniano legge quindi la corsa verso il fondamentalismo come un Sessantotto alla rovescia, in cui invece della liberalizzazione si cerca un mondo di regole dove trovare dignità al di là della condizione economica e un significato sicuro all’esistenza.
Questa interpretazione, molto più sottile e acuta di quelle che siamo abituati a leggere e ascoltare, rivela come sia fallace la speranza di affrontare questo problema enfatizzando la laicità, ricacciando le religioni nel sommerso e nell’indicibile. E al tempo stesso apre nuove responsabilità — ma anche nuove possibilità — all’azione delle donne e degli uomini di fede.